Da "Il Piccolo di Trieste" di Martedì, 31 Marzo 2009 (Pagina 30 - Cultura e spettacoli)
TEATRO. DA OGGI A DOMENICA ALLA SALA BARTOLI IL TESTO DI OSVALDO GUERRIERIMarianella Bargilli e il calcio come metafora di vitaInedito cast al femminile nel monologo ”Alé Calais”, che è ispirato a una storia veraTRIESTE Nella prossima stagione di prosa la ritroveremo in scena a Trieste, assieme a Geppy Gleijeses, in «Il gioco delle parti» di Pirandello. Da oggi, alle 21, fino a domenica 5 aprile, invece, Marianella Bargilli sarà voce solista del monologo «Alè Calais» di Osvaldo Guerrieri, prodotto dal Teatro Stabile di Calabria e dalla Fondazione Teatro Piemonte Europa per la regia di Emanuela Giordano, che chiuderà il cartellone «altriPercorsi» alla Sala Bartoli del Politeama Rossetti. L'attrice sarà accompagnata dal trio d'archi Bubbez, formato da Ermanno Dodaro, Massimo De Lorenzi e dalla triestina Giovanna Famulari. Scene e costumi sono di Andrea Nelson Cecchini.
«A Calais può mancare tutto ma non mancherà mai il vento...», scrive Osvaldo Guerrieri, giornalista del quotidiano «La Stampa», nel raccontare il sogno della piccola squadra di provincia che nel 2000 sfiorò la coppa di Francia, vinta poi dal Nantes per 2-1. Professionisti e dilettanti del pallone, in Francia, possono infatti ritrovarsi a gareggiare sul medesimo campo. E con il Calais, per la prima volta una squadra di dilettanti raggiunse una finale di campionato.
«Quando mi è stato proposto "Alè Calais", - spiega Marianella Bargilli, - mi è piaciuto moltissimo il fatto che fosse una storia vera. Il testo di Osvaldo Guerrieri è incantevole, mi sono divertita e commossa moltissimo a leggerlo, è scritto con gran delicatezza, e pian piano escono fuori i personaggi fondamentali, ossia l'allenatore, il portiere, il giornalista che arriva da Parigi. Non sono personaggi costruiti, non c'è la caricatura, è qualcosa che esce dall'anima. È tutto evocato. Mi piacerebbe portare "Alè Calais" in Francia, sarebbe un bellissimo ricordo da dare al pubblico perché alla fine proiettiamo le immagini della partita e dei personaggi di cui parlo».
Anche lei ama raccontarsi, nel suo blog?«Adoro il contatto con le persone, adoro meno il computer.
C'è una persona che mi segue, mi aggiorna il sito, io la chiamo il mio angelo custode, è una sorta di presenza continua nella mia vita. Lei mi ha spronato a fare il blog. Sono delle sintesi di pensiero e di situazioni, piccoli appunti sui miei spostamenti. Mi piacerebbe scriverli su un foglio, ma difficilmente la gente potrebbe poi leggerli. Adoro la tournée, lo spostamento, i ristoranti, mi piace andare in autostrada, fermarmi all'autogrill... Mi piace parlare del teatro. Spesso non me lo fanno fare, quando mi ospitano in tv, e questo m'indispettisce un po'. Non è possibile che il teatro non diventi un argomento di dialogo, come può essere il cinema o il calcio».
La televisione le ha dato la popolarità. Perché non continua a farla?«Ho abbandonato la televisione quasi subito, non mi ha mai interessato perché non la capisco. Accetto, di tanto in tanto, qualche ospitata televisiva, però non penserei mai di fare la presentatrice, è qualcosa che non mi appartiene. Mi ero inventata una trasmissione andata in onda su Sky Leonardo, "Tournée", una sorta di documentario-reality con le riprese di "Pigmalione", dal primo provino all'ultima recita. Ma hanno riproposto la mia idea con altre compagnie».
Lei ha fatto stage con Nikolaj Karpov, Steven Berkoff, Marylin Freed. Cosa le hanno insegnato?«Sono tutte esperienze che mi hanno aiutato a dare ad ogni personaggio una vita che non sia solo nella tecnica dell'emissione della voce, come fanno tanti attori. Karpov è un maestro che lavora moltissimo sulla fisicità degli attori. È stato bellissimo pensare di spaccare la normalità di un personaggio, per poi ricostruirla su basi diverse. Senza questo percorso di studio, sarebbe stata follia pura debuttare nel ruolo di Eliza Doolittle in "Pigmalione" di Shaw». Maria Cristina Vilardo