Giornale di Vicenza 04.04.2008

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view post Posted on 4/4/2008, 14:53
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Da "Il Giornale di Vicenza" di venerdì 04 aprile 2008 (Spettacoli pag. 55)

PROSA. UNO DEI TESTI MENO FREQUENTATI DEL GRANDE AUTORE NAPOLETANO HA CHIUSO LA STAGIONE ALL’ASTRA DI BASSANO

Benefattore e beneficato
in un groviglio di ipocrisia


Elide Imperatori Bellotti

image BASSANO - Aria di primavera nei viali ed ultima serata, mercoledì, della stagione di prosa al Teatro Astra di Bassano. In scena Io, l'erede di Eduardo De Filippo (regia di Andrée Ruth Shammah), uno dei testi del grande autore napoletano forse meno conosciuti dal pubblico, risalente al 1942.
Eduardo, nato nel 1900, era per nascita vera creatura di teatro e nei suoi scritti spalanca poesia e mestiere, crescendo alla scuola dei maggiori attori napoletani e nella perfetta conoscenza di scrittori quali Di Giacomo e Pirandello. I suoi lavori sono giustamente considerati fra i più importanti della letteratura contemporanea
In Io, l'erede, la sua lettura del sociale si fa mordente ed audace, aspra e pirandelliana nello scavare e dileggiare il sentimento della beneficenza. Quali infatti i limiti, i legami, i sentimenti d'amore ed odio che legano il benefattore al beneficato? Ne scaturiscono le amare verità del dare solo per tacitare le proprie coscienze, del pretendere rispetto e riconoscenza senza rispettare gli altri, senza saper rivestire il gesto “caritativo" dell'amore che solo può nobilitarlo.
La scena nella quale si muovono i personaggi è vista dallo scenografo Gian Maurizio Fercioni di un bianco abbagliante: “sepolcro imbiancato" a suggerire quanto di poco chiaro vi si annida? Al muro in piccolo scorcio uno sguardo di Eduardo sul tutto. I personaggi si muovono ciascuno nel peso di nascoste menzogne in un perbenismo di facciata che nell'evolversi delle azioni dà la misura di come si possa agire costantemente nell'equivoco.
L'irrompere fra di essi di Ludovico Ribera, il protagonista ben disegnato da Geppy Gleijeses, smuove l'acqua ferma e putrida dell'insieme, getta il sasso che in cerchi concentrici svela fino a che punto la malafede può giungere.
Ludovico infatti si presenta a reclamare una eredità che sente spettargli di diritto, maturata in seno alla famiglia Selciano, nella quale il padre Prospero, amico del defunto avvocato Selciano ed a sua volta morto da pochi giorni, ha vissuto beneficato e protetto per 37 anni.
La tesi della pretesa si dipana in profondità psicologiche sconvolgenti: Ludovico è stato abbandonato dal padre Prospero a soli quattro anni, è cresciuto in realtà diverse, conosce solo per caso la verità, che ha reso tragica e difficile la sua esistenza.
Chi era Prospero, il beneficato dei Selciano, ma chi avrebbe potuto essere? Quali risvolti ha vissuto nel costante dileggio, nell'accettazione di nascosti amori, di sudice convenienze, di presenza amara tra gli altri? Fino a che punto allora conta la carità?
Ludovico con lucidità chiede al figlio del benefattore: «Con quale diritto vostro padre si permetteva di non far soffrire la gente?…La samaritana dette un sorso d'acqua al sofferente…non possiamo essere noi distributori del bene e del male, non conosciamo le proporzioni…».
La nuova presenza imposta ed accettata fa deflagrare con forza dirompente il tutto: sì i Selciano benefattori continuino pure a riposare con tranquilla coscienza, prima fra gli altri la zia Dorotea, sorella del defunto Selciano, amante segreta del buon Prospero, ben resa in slanci e grettezze da Milvia Marigliano,
E così Amedeo Selciano l'avvocato, un perfetto Umberto Bellissimo, erede del grande benefattore, più volte salvato per debiti di giuoco o altre bassezze da Prospero, i servi Caterina ed Ernesto, pronti al dileggio dell'ospite per il puro divertimento dei "signori"o l'amministratore di famiglia Lorenzo De Ricco, che ha coinvolto più volte Prospero nei maneggi patrimoniali dei padroni a suo totale vantaggio.
Pagine di vita che Ludovico ha ritrovato in documenti e nel diario del padre, incautamente consegnatigli a mo' di eredità dallo stesso Amedeo. Nel contesto altre donne levano le loro voci, quella pretenziosa e vanesia di Margherita moglie di Amedeo, di Adele, di lui sorella malmaritata rientrata in famiglia con pretese artistiche, ed ancora quella di Bice, la diciassettenne orfana raccolta ed allevata in casa Selciano, alla quale Ludovico darà dignità di vita nello spingerla al di fuori della casa, che la costringe al destino di “beneficata".
Un insieme che ha reso con giusto ritmo la vicenda seguita dal pubblico con concentrato interesse e salutato da buoni applausi al finale. Sono mancate forse le poche, ma significative espressioni napoletane del testo originale, a rafforzare in alcuni momenti l'espressione corporea degli interpreti. (Fonte GiornalediVicenza)

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