Intervista a Geppy Gleijeses.

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view post Posted on 18/9/2007, 11:25
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Geppy Gleijeses

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di Giuliana Gargiulo - Capace di andare oltre. Con la voglia di esserci e di fare. E il talento, cresciuto con la cocciutaggine di chi, partito da Napoli, si è messo a camminare da solo. Strada ne ha fatta tanta. Ha appena conquistato il Premio Salvatore Di Giacomo, giunto alla settima edizione, organizzato a Sant’Agata dove il poeta amava passare le sue estati. Non a caso Geppy Gleijeses all’inizio della sua carriera portò in scena “Il voto” di Di Giacomo con una “irraggiungibile” Pupella Maggio. Attore e regista, fin dagli esordi con l’ambizione di essere “nazionale”, non ha fermato il lavoro alla sua città ma ha voluto spaziare. Ha affrontato ogni tipo di testo e di autori : da Feydou a Wilde, da Shaw a Ruccello in più occasioni riproponendo Eduardo. Dopo “Chi è chiù felice ‘e me” , “Gennariniello” e “Il figlio di Pulcinella”, Geppy Gleijeses ha interpretato “Io, l’erede” di Eduardo, testo, erroneamente considerato minore, che con Eduardo ed Enrico Maria Salerno, non ebbe gran fortuna. In scena, Geppy Gleijeses, - anche per la regia lucida, in bilico tra crudeltà e fantasia, di Andree Ruth Shammah, conferisce al suo personaggio una duplicità indimenticabile. Credibile sulla scena, amabile nella vita, parla del teatro e di sè con il fascino dell’interprete e l’uso di mondo dell’uomo. Napoletano fino in fondo per intelligenza e ironia, anche se con l’aspetto di un anglosassone, ormai sembra non avere limiti. Anche in scena.

A che punto è la tua storia di teatrante?
Ad un punto importante, bello e confortante. Fino a poco tempo fa ho interpretato un tipo di teatro brillante e leggero anche per obblighi organizzativi. Avendo una compagnia di giro, dovevo necessariamente misurarmi con il mercato. Con “Io, l’erede” sto seguendo una strada di maggiore libertà basata su una certa maturità di interprete. Dal 1992 dirigo l’unico teatro stabile del Sud Italia peninsulare, con risultati più che buoni. Per i legami che ho con la Calabria, mia madre è calabrese, la regione è ha una storia importante, individuai in Crotone la sede del teatro stabile. Riconosciuto nel 2000, il teatro stabile è stato l’unico in Italia per numero di spettacoli circolanti. Per non citare il biglietto d’oro, ottenuto con il mio spettacolo “L’importanza di chiamarsi Ernesto”.
C’è qualcosa che si aspetta per il futuro?
Mi rendo conto che mi attendono le sfide con il grande teatro classico, soprattutto con i testi di Eduardo e di Pirandello. In una carriera arriva sempre il momento dei grandi appuntamenti culturali. Come Gasmann arrivò ad “Otello” così penso di interpretare “Il gioco delle parti” di Pirandello e “Ditegli sempre si” di Eduardo. Un percorso addirittura logico, dopo tanto teatro comico e brillante, in una città come Napoli che combina la farsa con il dramma…

Perché ha scelto “Io l’erede”?
Tutto è partito dalla bella regia di Andre Ruth Shammah, che mi ha dato la possibilità di affrontare una buona interpretazione. E’ una commedia in cui il dolore è fondamentale ma non esclude il sorriso. La comicità ce l’ho dentro ma solo con la consapevolezza del dolore, anche quello che contraddistingueva Eduardo, sono arrivato a “Io l’erede”. Il dolore del personaggio che interpreto è universale. Il personaggio è chiaramente autobiografico. Con Eduardo condivido il sentimento perenne di ricerca dell’amore per il padre. Sia pure in maniera totalmente diversa, anche io ho voluto conquistare l’amore di mio padre, in un rapporto prima distante e poi, per carità, del tutto risolto con la maturità.

Qual è il suo ricordo di Eduardo?
Non ho mai conosciuto il “cattivo” Eduardo. Ho sempre conosciuto il buon Eduardo, generoso e altruista che ha creduto in me. Avevo 17 anni quando, presentato da Eugenio D’Angelo, fui chiamato per fare il tenentino in “Na santarella ma rifiutai perché iscritto all’Università intendevo laurearmi.
Aveva già esperienza di teatro e voglia di diventare attore?
L’unica esperienza la condivisi negli anni del Liceo Umberto con Francesco Barra Caracciolo e altri amici, in occasione de “Le nuvole” di Aristofane. A diciannove anni feci ad Eduardo il secondo tradimento quando fui chiamato per il collettivo di Parma. Nel 1975 misi in scena al Teatro instabile “Chi è chiù felice e me” e “Gennariniello” e nel 2000 “Il figlio di Pulcinella” con la regia di Guicciardini.

Qual è un ricordo felice?
La frase che mi ha dedicato Masolino D’Amico in una sua recente recensione: ”Un attore di stile che con la sua presenza annulla gli altri”.

C’è nella sua vita una condizione di felicità ?
Ho un bellissimo rapporto con la mia compagna Marianella Bargilli, un’attrice dotata di grande talento, anche candidata come miglior attrice emergente. Siamo molto innamorati e molto vicini. Se con Debora Caprioglio, in scena disciplinata anche umile, mi sembrava di guidare una Opel, con Marianella, che ha un vero e proprio talento naturale, guido una Ferrari.

Nel suo ruolo di capocomico lei ha un record assoluto di generosità, del quale le siamo particolarmente grati, quello di riportare in scena grandi interpreti del passato in qualche caso ingiustamente accantonati. Cominciò con uno dei suoi primi spettacoli “Il voto” di Di Giacomo, con la grande Pupella Maggio, in seguito ha chiamato accanto a se grandi attori come Arnolfo Foà, Alida Valli, Isa Barzizza, Bianca Toccafondi, Regina Bianchi e altri ancora… Vuole spiegarmi?
Lei mi ricorda personalità così grandi e di riconosciuto talento… Mi è sembrato naturale desiderare di lavorare al loro fianco ed offrire loro una specie di passerella d’amore. Stare accanto a loro è stata una grande occasione di apprendimento. Quando ho recitato accanto a Pupella avevo solo venticinque anni ed ero il più giovane capocomico d’Italia.

Che cos’è per lei la forza?
Tirare fuori nei momenti più difficili e complicati tutto quello che si può. Battersi per l’obiettivo prescelto e combattere l’indolenza e la pigrizia. Tirare da un cilindro un’energia sovrumana.

E misurarsi con un Eduardo complicato come in “Io l’erede”?
Sentire la responsabilità, che è stata una specie di investitura, e sperare di continuare la grande tradizione napoletana. Non sono certo l’unico ma sono consapevole di avere un compito da portare avanti.

E’ ambizioso?
Moltissimo. Ma ho scelto un’ambizione sana. In scena sono generoso; non ho mai negato spazio ai colleghi. Credo di essere onesto e chiaro e mi batto per dare il massimo.

Un desiderio?
Mi manca il cinema, anche se ho fatto vari film. Vero è che il teatro stabile con la sua macchina di centocinquanta persone assorbe quasi tutto il mio tempo ma…se dovessero chiamarmi Sorrentino o Martone o Bertolucci andrei di corsa.

Paure ne ha? Personali o teatrali?
L’unica paura, una specie di incubo, è che tutto quello che ho costruito possa svanire.

Regista e attore, ha predilezioni?
Non mi pare. Mi interessa quando posso fare la regia. Rientro in quel filone di attori come Gabriele Lavia, Luca De Filippo, Glauco Mauri che fanno sia l’uno che l’altro. Però mi interessa molto essere diretto dai grandi registi con i quali ho lavorato.

Un suo pregio?
Credo di avere il senso della misura. Non ho mai esagerato. Non chiedo né faccio quello che credo di non poter fare.

Che cosa non le piace?
La mancanza di etica, non solo nel sistema teatrale ma anche nel mondo delle relazioni sociali. Mi piacerebbe andare avanti senza eccessivi compromessi. Eduardo diceva che si deve sempre ricominciare daccapo e che gli esami non finiscono mai.

Questo è un momento felice?
Mai. Sono molto contento ma guai se fossi soddisfatto! Sono sempre stato un corridore veloce ma il sogno ricorrente è di non farcela!

Un sogno più ampio e non notturno ce l’ha?
Di essere riconosciuto in tempi logici un grande attore. Sono stato il primo napoletano a conquistare il Premio Olimpici Eti.

Per concludere, che cos’è per lei il teatro?
Lacrime, sudore, gelo e gioia… anche infinita. E routine, che combatto a tutti i costi! (Fonte SorrentumMagazine)

Edited by BLUEDOLPHINS - 18/9/2007, 18:33
 
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